giovedì 29 novembre 2007

MERCATO DEL LAVORO, CHI SONO I 4 MILIONI DI ATIPICI?


Ricerca dell'Isfol: quanti co.co.co e co.co.pro in realtà fanno un lavoro subordinato?


Giovani ricercatori dell'Isfol l'hanno chiamata "Niente e' come sembra", come la canzone di Franco Battiato.
E' la ricerca, presentata oggi a Roma sul lavoro atipico in Italia, che indaga sulla distanza fra la 'forma' del lavoro (il contratto e le regole dell'assunzione) e la 'sostanza', ossia le reali condizioni di lavoro. Ne risulta un quadro in cui vengono descritti con precisione i contorni della cosiddetta flessibilita', e soprattutto gli aspetti di quel mondo ancora spesso sconosciuto, che si nasconde dietro la dicitura 'lavoro parasubordinato'.

Sono quasi 3,5 milioni (ovvero il 15,3% dell'occupazione) gli individui coinvolti in forme di lavoro atipiche.

Fra questi, oltre 1.827.000 sono dipendenti a termine, 347.000 apprendisti e 1.277.000 parasubordinati o meglio 'finti' autonomi (coloro che hanno la partita Iva, ma in realta' lavorano per un solo datore di lavoro, i co.co.co, i co.pro., i lavoratori a chiamata). A questa atipicita' 'base' va aggiunta, secondo alcuni analisti, la quota di part-time involontari (circa 580.000), pari al 2,6% dell'occupazione. In tutto, oltre 4 milioni di persone interessate in Italia dai lavori 'non standard', ossia diversi dal contratto di lavoro (full o part time volontario) a tempo indeterminato. I dati provengono dalla ricerca Isfol Plus, realizzata nella seconda meta' del 2006 su indirizzo della direzione generale Mercato del lavoro del ministero del Lavoro e con il contributo del Fondo sociale europeo, su un campione di oltre 40.000 individui. Lo studio propone nuovi indicatori del mercato del lavoro, capaci di far emergere sia la componente atipica dell'occupazione che l'uso improprio delle forme di impiego flessibili.
L'Isfol sottolinea che per descrivere il mercato del lavoro non basta illustrare le diverse tipologie contrattuali che lo compongono, perche' cosi' facendo non si tiene conto dei casi di 'falso positivo', ossia di chi formalmente appartiene a un aggregato lavorativo, ma sostanzialmente svolge un'attivita' in maniera difforme da quanto previsto dall'istituto contrattuale usato. Sono molteplici, infatti, i casi in cui la forma contrattuale e la natura effettiva dell'occupazione svolta non coincidono. Un caso emblematico e' quello dei finti collaboratori: sebbene formalmente siano da attribuire al lavoro autonomo, sovente svolgono mansioni ed erogano prestazioni sostanzialmente del tutto analoghe a quelle di un dipendente. Ma come si fa a capire quando i co.co.co., i co.pro., i collaboratori occasionali o le partite Iva vengono impiegati secondo modalita' lavorative tipicamente subordinate? Tra le caratteristiche di questi contratti, l'Isfol individua alcuni 'vincoli di subordinazione', che consentono la valutazione della natura subordinata del rapporto di lavoro. Ecco i dati: il contratto e' stato imposto al 65% dei co.co.co., al 55% delle collaborazioni occasionali, all'81% dei co.pro. e al 7% delle partite Iva. Il datore di lavoro esclusivo (la monocommittenza) riguarda quasi l'80% dei collaboratori, piu' della meta' delle partite Iva. La presenza e' un vincolo stringente per 6 co.co.co. su 10, mentre e' richiesto a 7 collaboratori occasionali o co.pro. su 10; anche 20 lavoratori a partita Iva ogni 100 devono attenersi a un orario giornaliero. L'80% dei collaboratori e quasi meta' delle partite Iva usano strumenti dell'azienda presso cui sono impiegati. Oltre il 60% dei co.co.co. e co.pro. ha gia' lavorato una volta con l'attuale committente, contro piu' del 50% dei collaboratori occasionali e oltre un terzo delle partite Iva.
Quanti, poi, vorrebbero diventare dipendenti a tempo indeterminato? Il 79% dei co.pro., il 73% dei co.co.co., il 58% dei collaboratori occasionali e il 24% delle partite Iva non vorrebbe rimanere nell'attuale forma contrattuale, ma ritiene piu' congrua un'occupazione dipendente permanente. Pertanto, attraverso la verifica della reale natura dell'occupazione, quando sono presenti 4, 5 o 6 fattori di subordinazione, si ritiene plausibile considerare questi autonomi come parasubordinati (pari a circa il 5,6%). Un altro esempio di possibile 'falso positivo' e' il caso del part-time, che potrebbe essere sia una condizione volontaria (e pertanto costituire uno strumento di conciliazione tra vita lavorativa e familiare) sia non volontaria (e come tale celare una condizione di sottooccupazione). Dall'indagine Isfol Plus, emerge al riguardo che solo il 50% degli uomini dichiara volontario il proprio part-time, incidenza che passa al 70% per le donne. A proposito di tipologie contrattuali, gli occupati con un contratto da dipendente a tempo indeterminato sono il 63% del totale degli occupati. Una quota che si riduce molto (quasi il 10% in meno), per i giovani. Il lavoro dipendente a tempo determinato ha una incidenza media poco al di sotto del 5%. Il Cfl, ovvero il contratto di formazione e lavoro, incide in media solo per lo 0,6%, l'apprendistato per poco piu' dell'1,5%, il contratto d'inserimento e' di poco sotto l'1%, cosi' come il lavoro interinale (presso agenzie di somministrazione). Il lavoro intermittente o a chiamata (la cui abrogazione e' prevista nel collegato alla Finanziaria sul welfare) registra un'incidenza dello 0,7%. Le collaborazioni coordinate e continuative incidono ancora per l'1,66% dell'occupazione, le collaborazioni occasionali per l'1,6 % degli occupati, i lavoratori a progetto per il 2,5%, gli imprenditori e titolari d'attivita' sono oltre il 10% degli occupati.
Il mondo delle partita Iva, i lavoratori in proprio, i professionisti, rappresenta il 7,2% dell'occupazione. Praticamente assente il ricorso al lavoro ripartito o job sharing, non sufficientemente presente da poter essere stimato, mentre i coadiuvanti familiari e gli stagisti, tirocinanti e praticanti e gli associati in partecipazione sono stimati nell'ordine di 6, 5 e 3 ogni 1.000 occupati. Ma tutta questa occupazione flessibile, si chiede l'Isfol, e' giustificata da esigenze produttive? Il 28% degli intervistati ritiene che l'attuale contratto a termine sia il preludio a un trasformazione in un contratto a tempo indeterminato e il 24% non ritiene ci siano motivazioni particolari. La restante meta' del campione indica come prevalenti le seguenti motivazioni: la stagionalita' dell'attivita' o i picchi di produzione (17%), il legame con una commessa o un progetto lavorativo specifico (11%), la sostituzione di personale (10%) e la necessita' di un periodo di pratica e specializzazione professionale (7%). Pertanto, conclude l'Isfol, appare alta la percezione di una forma contrattuale inopportuna rispetto alla mansione svolta e alle reali necessita' dell'azienda e oltre la meta' degli intervistati ritiene che la natura temporanea del proprio contratto non sia dettata da reali esigenze produttive.

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